Polizzi Generosa

19 giugno 2020 – 33^

Polizzi Generosa – 19 giugno 2020

Curva dopo curva, osservavo dal finestrino abbassato dell’auto, appena usciti da Tremonzelli e salendo in direzione di Polizzi Generosa, quei campi appena tagliati e secchi, intrisi del sole forte di giugno e che dona allo stesso istante mistero e magia. Campi che sono “terre scritte”, e sono anche la musica del “tempo” che solo quell’antico mondo contadino è in grado di eseguire in un crescendo ritmico. E, tornante dopo tornante, ero a volte Silvestro Ferrauto, a volte Paolo Castorini e anche Adriano Meis o Pietro Scirè. E mi chiedevo come si fa a non innamorarsi di quegli scrittori che sono stati capaci di raccontare e mostrare ciò che agli altri era quasi impossibile scorgere. La Sicilia può essere tutto e il contrario di tutto, tranne una cosa: banale.

A Piazza Santissima Trinità, a Polizzi, dove le rondini impazzite di “scirocco” volano senza un attimo di tregua, ci ritroviamo noi di “Taoclick” insieme agli amici di “AFI011” per iniziare la giornata, sorrisi e sguardi allegri.

Nell’unica zona d’ombra, davanti all’ingresso della Chiesa di Santa Maria Lo Piano, due vecchietti seduti in equilibrio precario su una sbilenca panchina di legno, ci osservano incuriositi. In effetti, sembriamo bimbi chiassosi al suono della campanella l’ultimo giorno di scuola. La nostra scuola ha un nome: “Lockdown” o meglio, per non offendere la nostra bella lingua, chiusura forzata.

Ursula, che già da tempo ha eletto Polizzi come seconda dimora e che si destreggia a suo agio come fosse di famiglia, ci presenta con affetto il Signor Nino Di Stefano o come lei lo chiama simpaticamente “Nino delle chiavi”. Indossa una “t-shirt” rossa fiammante, un paio di bretelle nere a reggere i “jeans”. Non posso non notare la scritta sulla maglietta: “1978 – La nascita delle leggende” e il logo di un bel leone al centro, in pieno petto. Leggenda lui un poco lo è a Polizzi ed anche leone nel difendere i suoi sogni di polizzano verace. Ho tralasciato il “1978” in quanto mi sforzavo nel provare a calcolare la sua presunta età e per far pace con me stesso, mi son detto di continuare a farmi gli affari miei per il “quieto vivere”.

Le chiavi non sono certo quelle del regno dei cieli, forse si assomigliano vagamente, ma di sicuro permettono di accedere a scrigni d’immensa e rara bellezza terrena. Il nostro giro procede lungo la via Giuseppe Garibaldi visitando numerose chiese e conventi, sono dei veri e propri gioielli di arte, all’interno dei quali ammiriamo importanti capolavori. Passeggiamo per le strette e impervie stradine, il caldo impetuoso si fa sentire, tra i palazzi riccamente adornati e le semplici casette, tra corti, bagli e piccoli orti e giardini proviamo invano a cercare riparo, subiamo il fascino di un borgo “perso” nel tempo e ne sentiamo l’appartenenza conversando con la gente del luogo, assistendo a genuine e semplici scene di vita popolare.

Il tanto sospirato e desiderato riparo lo troviamo quando tutti insieme ci rechiamo al ristorante “U Bagghiu” per il pranzo. All’ombra degli alberi, sotto un ampio tendone allestito per l’occasione, la nostra tavola è come una tela dipinta che ha il sapore dell’accoglienza e della simpatia. Quella stessa simpatia con la quale Santina ci coccola servendo, con l’aiuto del figlioletto, piatti che hanno il sapore della semplicità, dello stare insieme a casa, come in una famiglia, come solo le donne siciliane sanno fare. Ricordavo mia madre quando metteva i suoi piatti a tavola, non ci dava da mangiare, distribuiva amore.

Lasciamo il ristorante con quell’euforia quasi onirica, tutta colpa della compagnia e di un bicchierino di troppo, che riusciamo a far svanire “nuotando” verso la Fondazione Borgese come fossimo naufraghi in cerca di approdo sicuro. La presidente, la Prof.ssa Aiosa ed il direttore, il Dott. Librizzi, ci accolgono, in quella che fu la casa natale dello scrittore Giuseppe Antonio Borgese, con l’orgoglio di chi con tenacia e testardaggine continua con forza a dare voce ad una Sicilia che altri sembrano voler zittire.

In piazza Gramsci, a ridosso della Chiesa di San Girolamo, prima che il sole vada a nascondersi, abbiamo il tempo per la classica foto di gruppo. Salutiamo gli amici di “AFI011”, noi invece non siamo ancora “sazi”. Qualcuno prende la decisione di chiudere la giornata proponendo una visita veloce in direzione della Commenda che è situata alla fine del paese. Non sta a me dire di quanto questo luogo, risalente al 1777, sia d’incommensurabile e incalcolabile valore storico, patrimonio della nostra storia. Posso solo raccontare o forse non so neanche se ne sarei capace, del paesaggio che ha riempito di emozione i miei occhi e del fascino pregno di mistero di questo luogo, posso raccontare dell’amore che emana questa terra e di quanto siamo ingrati verso questa isola, preferisco chiudere con questo piccolo e prezioso cimelio tratto da “La Siracusana” di G. A. Borgese:

“Non credo d’avere visto mai più una donna così bella. Non si vedeva nulla di lei tranne il viso. Le donne d’allora non erano come quelle d’ora, che somigliano a frutta ignude, fra il fogliame. Andavano celate in un dedalo di pizzi e di ricami, con sottane bianche inamidate, simili alla carta rigida e ornata che a quei tempi usava intorno ai bouquets di fiori, e sulle sottane una gran gonna a fiorami, a volanti, a falbalà, maestosa come una pagoda, e al petto il busto, armato, inespugnabile”.

Grazie a Ursula, Lisa, Sandra, Vera, Marah, Alfio, Augusto, Alessandro, Giovanni ed agli amici di “AFI011” per avere condiviso con me tutto questo.

Un abbraccio

Rogika