Borgo Santa Rita e Palma di Montechiaro

16 ottobre 2019

A circa venticinque chilometri da Caltanissetta, tra aspri rilievi e dolci colline, sul Monte Pisciacane a metà strada fra Sommatino e Delia, si trova il Borgo Santa Rita. Lo raggiungiamo dopo due ore e mezza di strada.

La chiesa del paese con la sua facciata rosa e il suo particolare campanile, visibile sia dalla strada sia da buona parte del circondario, sembra voler proteggere le poche case e la ventina di abitanti rimasti. Il borgo nasce nel 1895, per volontà della famiglia dei Baroni La Lomia di Canicattì, dedicato a Rita Bordonaro, moglie del Barone, che fece costruire sulla sommità di una scalinata vicino alla loro residenza baronale la chiesa dedicata a Santa Rita, da cui il nome della borgata.

Da venti anni questo luogo, abbandonato per secoli, campagna siciliana prolifica e produttiva, è rinato grazie alla tenace volontà di Maurizio Spinello, il “fornaio sognatore”, che nel 1999 ha aperto il suo forno e fa il pane di una volta, quello con i grani antichi, quello delle nostre nonne e dei nostri antenati con il quale ci siamo nutriti per millenni. Lo conosciamo, Maurizio. Ci accoglie con garbo nella sua divisa bianca “immacolata” da fornaio e ci invita dentro il suo regno mostrandoci con orgoglio i suoi prodotti: la farina bio, il pane e la pasta con i grani antichi, i biscotti.

All’interno del laboratorio incontriamo Musa, un ragazzo del Gambia, ha occhi vivaci e tanta voglia di imparare. Lo troviamo intento a confezionare la pasta con il piglio serio di chi sta facendo qualcosa d’importante e ci sorride. Maurizio ci spiega che dà lavoro ad alcuni ragazzi che vengono per imparare, chi da fuori Sicilia e chi da altri paesi, vengono per una o due settimane e poi ci restano per mesi innamorati di quest’antica e nobile arte.

Ci dice: “Vivo in un posto, dove le strade sono dissestate, dove la parola “servizio” non esiste e ogni piccola cosa diventa impossibile, un posto invisibile, dove ha sempre vissuto la mia famiglia, ma è qui che sono nato e voglio continuare a vivere e lavorare. Questo posto ha una storia da raccontare ed io voglio farne parte”.

Ripartiamo con il bagagliaio della nostra auto stracolmo, non solo di pasta di ogni tipo, ma anche con la bella sensazione che non tutto è perduto in questa nostra splendida e martoriata isola.

Il nostro appuntamento a Palma di Montechiaro è con l’architetto Alfonso Di Vincenzo, arriviamo in ritardo in piazza Provenzani, davanti al Monastero delle Benedettine, colpa di un GPS che ha deciso di fare le bizze in paese, costringendoci a fare un giro più lungo di quello preventivato.

Abbiamo una certa fretta d’iniziare il nostro tour nella città del “Gattopardo”, fondata il 3 maggio 1637 dalla storica e nobile famiglia dei Tomasi, antenati del celebre Giuseppe Tomasi di Lampedusa autore del famoso romanzo. Palma nelle intenzioni originarie doveva essere la città di una nuova Terra Santa, la Gerusalemme di Sicilia e per portare a termine questo desiderio i Tomasi si affidarono alle sapienti ed erudite mani di Giovan Battista Hodierna, astronomo ragusano, poi diventato arciprete di Palma, che disegnò la pianta ortogonale della città, studiando a lungo il luogo, basandosi sulla ricchezza della vegetazione, sulla luce, sulla posizione degli astri e del soffiare dei venti.

In questo meraviglioso scenario raggiungiamo la Chiesa di Maria Santissima del Rosario, una delle più significative opere del barocco siciliano con un meraviglioso prospetto, fatta edificare dalla stessa famiglia dei Tomasi, Principi di Lampedusa. All’interno decorazioni in stucco, splendide inferriate, numerosi e pregevoli dipinti rendono il Duomo unico in questo scenario barocco. A pochi passi dall’imponente scalinata della chiesa uno dei gioielli più belli di Palma di Montechiaro: il Palazzo Ducale, un viaggio nella memoria storica di Palma. Uno dei segni tangibili della presenza in città di quest’antica e nobile famiglia. Dallo scalone nobile giungiamo al primo piano con le sue otto sale con i soffitti a cassettoni lignei originali decorati con soggetti diversi. Nel soffitto di una di queste, troneggia una copia dello stemma dei Tomasi (l’originale fu rubato negli anni ‘70) con il leopardo rampante, il monte a tre cime con i tre alberi di palme. In un’altra, nel giugno del 1731, si radunò la Commissione del Tribunale Ecclesiastico per il processo di beatificazione di Isabella Tomasi, figlia di Giulio, divenuta Suor Maria Crocifissa della Concezione.

Ci concediamo un piccolo lusso pranzare al ristorante “Il Principe di Salina”, accompagnando le nostre pietanze con un buon vino bianco, per restare in tema e non perdere il contatto con gli avvenimenti storici che stiamo vivendo.

Nel primo pomeriggio Suor Raffaella ci apre alcune porte del Monastero del Santissimo Rosario. È un luogo dello spirito, monumento e museo d’arte, un sito che custodisce non solo la memoria artistica della famiglia Tomasi, ma anche della Sicilia stessa. Avere avuto il privilegio di “esserci stati”, di avere visto con gli occhi del passato è stato come provare una sensazione che va oltre ogni aspettativa, sembra di “galleggiare” nel sinuoso mare degli avvenimenti storici, come una nave in balia delle onde, senza meta, senza porto, senza timone.

Dopo la visita al Monastero delle Benedettine, ci salutiamo con l’architetto Alfonso Di Vincenzo, ringraziandolo calorosamente per la squisita gentilezza e professionalità con cui ci ha guidato nella visita e con il Signor Salvatore Costanzino ci dirigiamo fuori paese, in direzione della collina detta “ ’u Cravaniu ”, il Calvario, dominata dai ruderi dell’antica Chiesa di Santa Maria della Luce, dalla solenne facciata dalle forme barocche costruita intorno al 1650. Fu anche un lazzaretto, da ciò il nomignolo paesano “ ‘u ghettu de’ malati ”. Sotto una botola nel pavimento della Chiesa, sono ancora presenti e rinchiusi i corpi delle persone lì ricoverate e morte di peste tra il 1650 e il 1700.

Prima di rientrare a casa facciamo in tempo ad arrivare in località Capreria ad ammirare il Castello di Montechiaro, l’unico dei castelli chiaramontani in Sicilia edificato su un costone roccioso a picco sul mare. Da lì si gode un panorama di struggente bellezza, appoggiamo le nostre macchine fotografiche a terra e restiamo in religioso silenzio ad ammirare il sole che lentamente si nasconde dentro il mare.

Adesso, dopo tanti anni, ho compreso a pieno cosa avesse voluto dire Arthur Rimbaud quando scrisse: “L’eternità è il mare mischiato col sole”.

Alla prossima!

Rogika