Mirabella Imbaccari – 22 DICEMBRE 2021
Mirabella Imbaccari – Germania: sola andata.
Nel libro, Storia della fotografia, Diego Mormorio scrive: “L’invenzione della fotografia, segna un punto di trasformazione nella storia dell’umanità, supera per certi riguardi la conquista di Costantinopoli, la scoperta dell’America, altre chiavi di volta della storia”. L’invenzione della fotografia o perlomeno dell’immagine fotografica ci consente di salvare dall’oblio: i libri, le stampe e i manoscritti tutte quelle cose che il tempo divora, anche storie preziose la cui memoria va via via scomparendo. A Mirabella Imbaccari, luogo della nostra “invasione” numero 36, la terza e l’ultima di questo anno che ci ha visto, giocoforza, costretti a limitare le nostre uscite fotografiche, posso invece, con modesta ma profonda convinzione, affermare che le dinamiche si sono capovolte. Mi spiego meglio: certi luoghi che, tanti di noi amanti della fotografia, reputiamo non fotografabili, si rivelano inevitabilmente fotografabili, per la scoperta, o forse riscoperta, di storie nascoste di straordinaria bellezza che arricchiscono la nostra isola, la Sicilia. Diverse volte, ultimamente spesso direi, sento frasi tipo: “Che c’è da fotografare qui?”, “Che ci siamo venuti a fare?” oppure, la peggiore: “S’û sapia mi nni stava a casa!”. Ebbene, non che io voglia fare quello che se la tira o quello che si sente quel “un… e mezzo”, posso tranquillamente e umilmente asserire che sono abituato ad ascoltare “le mie scarpe”, e questo da sempre, da quando ho avuto in mano una macchina fotografica. Muoversi e spostarsi per luoghi che ai tanti appaiono insignificanti o privi di identità, addentrarsi per i vicoli e passeggiare per le piazze, percepirne i rumori e gli umori della quotidianità, entrare in simbiosi ascoltando le persone che in quel luogo ci vivono, non fanno altro che affermare e confermare che ci sono “storie” che non conosciamo e che meritano di essere divulgate, comprese, diffuse e soprattutto amate. A me serve una sola immagine, mi basta una sola fotografia, un piccolo rettangolino magico, tra le tante scattate in una giornata, per ritenermi la persona più felice del mondo; una sola immagine fotografica ha la potenza di raccontare, ha la potenza docile di una bomba che continua ad arricchire il mio “sentire” essere siciliano.
A Mirabella Imbaccari c’è un autobus che regolarmente viaggia per la Germania, destinazione: Sindelfingen, Schönaich e Calw, nel Baden-Württemberg, in direzione di quel polo industriale dove ha sede la casa automobilistica della Mercedes, una tratta che dura dalle 25 alle 30 ore, la traversata della speranza. A Mirabella Imbaccari i giovani imparano il tedesco in una scuola di lingua nata apposta per gli aspiranti emigranti. A Mirabella Imbaccari dalla fine degli anni ’50 si assiste inermi allo spopolamento, allo svuotamento del paese. Un fenomeno che nasce dalla mancanza basilare del nostro vivere dignitosamente: il lavoro. Consultando l’A.I.R.E., l’Anagrafe degli Italiani Residenti all‘Estero, dopo l’Argentina, la seconda nazione con il maggior numero di italiani iscritti risulta essere la Germania con oltre 800mila persone (dati al 31/12/2020). La Sicilia detiene il triste di record di espatriati, un numero quasi doppio della regione Campania, circa il 15%. I dati ISTAT parlano chiaro, negli ultimi dieci anni l’isola ha visto diminuire ben 300mila residenti, come se fosse stata abbandonata l’intera provincia di Ragusa. Numeri che si aggiungono alle annose difficoltà con cui i siciliani devono fare ogni giorno i conti. Numeri scabrosi e drammatici che si aggiungono anche allo sfruttamento lavorativo, alla scarsa offerta formativa, alle infrastrutture e collegamenti assolutamente non adeguati al degno vivere civile, alla totale mancanza di servizi essenziali. A tutto questo vorrei aggiungere anche, dopo quasi due anni di pandemia, l’aggravarsi di quel comune e fondamentale senso di appartenenza ad una società dove il più debole, chiunque esso sia per diversa estrazione sociale, anagrafica, politica, religiosa, viene continuamente messo nella condizione di non poter ribellarsi alle meschine ed ingiustificabili crudeltà del più forte, trascinandolo nel limbo dell’invisibilità. Ovviamente a tutto questo s’accompagna quel dolore silenzioso, forse impercettibile, di tutti quei genitori che, loro malgrado, vedono andare via, scappare, i propri figli; a dover purtroppo assistere con impotenza al miraggio di un futuro per loro migliore fuori dal grembo di un’isola che non intende far nulla per redimersi.
Poi ci sono storie che sembrano entrarti dentro con la foga di chi si fa largo con le braccia spingendo “all’urbigna”, ad ascoltare a pelle quel mondo che ha il sapore antico e quel fascino leggiadro senza tempo. Il luogo è il palazzo appartenuto ai Principi Paternò di Biscari. Lo si raggiunge percorrendo la centralissima via Luigi Trigona, partendo da piazza Vespri dove si erge l’incantevole facciata della Chiesa di Santa Maria delle Grazie. La finestra principale del Palazzo Biscari è collocata in asse con la chiesa. Da quella stessa finestra, nei primi anni del ‘900, la principessa Angelina Auteri, moglie del Principe Ignazio Paternò Castello, nascosta dietro le tende ed in assorto silenzio partecipava con la preghiera alla santa messa. A Mirabella Imbaccari, la principessa, trascorreva le sue vacanze, in seguito vi si stabilì definitivamente per poi abbandonare il palazzo quando decise di prendere i voti nel 1924.
Certe storie spesso ti regalano particolari emozioni pur partendo dalla fine, perché certi epiloghi sanno di cose belle, hanno il profumo dell’incanto e dell’armonia.
Angelina Auteri nasce a Napoli nel 1880 dal barone catanese Franco Auteri e da Maria Gaetana Gionti, pugliese. Trascorre una infanzia ribelle e turbolenta sia per il suo forte carattere che per i continui castighi dei genitori. All’età di sette anni viene trasferita presso l’istituto delle Suore Dorotee a Roma. Il distacco dalla famiglia gli procurava enormi dispiaceri che riuscì a lenire dedicandosi all’amore per Dio. Sovente sostava davanti all’immagine del Signore che gli permetteva di fare emergere la dolcezza della sua anima. Privata dalle tenerezze materne trova conforto e consolazione nelle preghiere consacrando la sua verginità. Dopo un certo periodo rientra a Napoli in visita dai suoi genitori e durante questo soggiorno conosce il giovane Ignazio Paternò dei principi Biscari che si innamora del suo candore e della sua bellezza. Come consuetudine per quei tempi, viene promessa in sposa. Titubante riesce a rifiutare la mano del giovane Ignazio. I baroni Auteri si recano in seguito in Sicilia, a Catania, per trascorrervi l’inverno del 1898 e Angelina, senza diritto di replica, all’età di 19 anni si ritrova fidanzata con il principe Ignazio. Le nozze furono fissate per il 28 ottobre 1899. I due sposi si stabilirono a Sorrento e dopo pochi anni nella loro vita coniugale inizia a crearsi qualche crepa, il sogno di Angelina di appartenere solamente a Dio non si è mai spento. Nel 1902 il principe, per ricucire il loro rapporto la conduce presso la cittadina di Mirabella dove era possessore di un feudo. A Mirabella Angelina fu colpita profondamente dalla popolazione semplice e analfabeta, sorpresa soprattutto dalla povertà materiale e spirituale della popolazione; e da quel momento è stato un crescendo di progetti per promuoverne la crescita umana, spirituale e culturale. Forte del suo innato senso dell’amore per il prossimo si dedica con tutta se stessa ad aiutare i più deboli. Tra le tante cose a cui si dedicò, oltre alla educazione delle ragazze del luogo, vi è la nascita della scuola di ricamo. Le mani delle donne, purtroppo a causa della loro vita piena di sacrifici, erano rovinate e callose e questo impediva la loro capacità manuale nell’usare aghi e uncinetti. Riesce, con caparbietà e tenacia, a trovare la soluzione, un’arte di ricamo dove le mani non stavano al contatto diretto, infatti il filo veniva avvolto sul fusello in legno e lavorato a navetta: il tombolo.
Nei mesi e negli anni successivi il palazzo fu sede di un’attività febbrile, le donne che fin a quel momento avevano vissuto nelle campagne si trasformarono in artiste. Emergevano diversi talenti, alcune donne iniziarono a creare da sé i disegni da realizzare. Dalle loro mani venivano partoriti dei piccoli capolavori.
Nel 1910 giungono a Mirabella da Roma delle Suore Dorotee pronte a sposare il progetto di Angelina Auteri. Nello stesso anno al principe Ignazio viene diagnosticata una grave forma di broncopolmonite e Angelina si allontana dai suoi laboratori per dedicarsi totalmente al marito vegliandolo giorno e notte, accudendolo con amore e con le sue preghiere. Anche il principe si affida alla preghiera e dopo aver portato per quattro anni un busto di ferro guarisce miracolosamente a Lourdes.
Adesso Mirabella si trasforma in una ridente comunità sia con la scuola di tombolo di Angelina e sia con la fervente attività agricola di Ignazio con i contadini del paese. Nel cuore dei principi in quegli anni maturava il desiderio di abbandonare gli agi della loro vita mondana e ritirarsi a vita contemplativa. La scuola del tombolo venne affidata alle Suore Dorotee per continuare a mantenere viva e salda la comunità di Mirabella.
Angelina e Ignazio dopo la celebrazione del 25° anniversario di nozze a Loreto e una udienza con Papa Pio XI si dissero addio, lei entra tra le Carmelitane Scalze, lui nei Padri Barnabiti. Ignazio morirà nel 1944. Angelina nel 1964 come Suor Maria di Gesù.
Questa storia di amore e di fede della quale siamo venuti a conoscenza, storia alla quale la comunità mirabellese è orgogliosamente legata è il risultato dell’incontro, certosinamente preparato e organizzato dal nostro solerte segretario Alfio, con il parroco Padre Marco Casella e le ultime due Suore Dorotee rimaste a vivere nel palazzo: Suor Carmela e Suor Concetta, che ci hanno aperto le porte del palazzo e con uno smisurato senso di abnegazione ci hanno dato l’incantevole opportunità di poter assistere, grazie alla schietta e genuina disponibilità della Signora Filippa Montalbano, alla magia e alla seduzione della lavorazione del tombolo. In quella stanza dagli alti soffitti e con al centro un grande tavolo, dove abbiamo ammirato ricami, merletti, disegni di pregevoli motivi, dove la luce del sole che entrava dai grandi finestroni con garbo accarezzava i preziosi manufatti. Ad accoglierci vi era anche la Signora Angela Terranova, presidente dell’Associazione Opera del Tombolo e delle Arti Manuali di Mirabella Imbaccari.
L’arte del tombolo ti affascina e ti conquista al primo sguardo, è il frutto di una sapienza e di una tecnica artigianale che ha la sua caratteristica fondamentale nella perfezione. Un lavoro antico, un lavoro che sa di memoria, un lavoro che è anche una risorsa per lo sviluppo economico locale.
Nel luglio del 2014, il Palazzo Biscari, gestito dalle Suore Dorotee per più di un secolo, è stato ceduto alla Fondazione di Comunità di Messina con l’intento di creare una scuola di alta formazione in economia civile e sociale.
Prima di concludere: abbiamo approfittato della bella giornata per concederci anche una sosta a Borgo Baccarato, progettato durante il periodo fascista dall’E.C.L.S. (Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano), ma edificato dall’ E.R.A.S. (Ente per la Riforma Agraria in Sicilia), presumibilmente nel periodo 1956-1958. Ospitava i minatori e le loro famiglie, che lavoravano alla vicina zolfara fino ai primi anni ’70. Adesso è abbandonato all’incuria e alla inciviltà di chi lo ha visitato scelleratamente, ma resta pur sempre una testimonianza della nostra storia, anche se impregnata di povertà, di soprusi e di tragedie.
Quelle tristi storie che, Luigi Pirandello con “Ciaula scopre la luna”, Giovanni Verga con “Rosso Malpelo” e Leonardo Sciascia con “Le parrocchie di Regalpetra”, hanno saputo e voluto raccontare, lasciandoci tracce di una Sicilia che ha sofferto e che ancora adesso continua impietosamente a soffrire, di una Sicilia doppia, di una Sicilia “contenitore enigmatico di singolarità e separatezze”, di una Sicilia “vittima della sua stessa pluralità e della sua complessità”, di una Sicilia che paradossalmente da “non luogo” diventa “mondo”.
Un abbraccio ed un sentito augurio di serene feste a voi tutti da parte dell’Associazione Fotografica Taoclik.
Rogika