Luigi Mastrosanti : il fotografo di Casacalenda
Dal fotografo del paese si recavano tutti. E da Luigi Mastrosanti si recava tutto il paese per immortalare la nascita, il matrimonio, la partenza per il fronte, la ricerca del marito, la famiglia e la morte. Si anche la morte veniva “immortalata”. Questa usanza ha radici antiche (che nel periodo vittoriano ebbe un’ ampia diffusione al punto da diventare un florido commercio per i fotografi dell’epoca , argomento che affronterò in un prossimo articolo del mio blog), in quanto era convinzione comune , soprattutto nei paesi del sud Italia , che attraverso la foto i defunti potessero vivere in eterno, così come il ricordo per le persone care associate alla fotografia stessa. Siamo a cavallo tra il 1800 e il primo ventennio del 1900, e la fotografia post mortem era tradizione in quanto, spesso, la morte arrivava troppo presto e la foto dei bimbi morti era l’unica foto, l’unico ricordo che avevano i familiari. Questo, forse, per far in modo che la morte diventasse “vita eterna” in quella stessa fotografia.
Ritorniamo alla storia incredibile e per certi versi commovente di Mastrosanti . Un caso fortuito volle che Flavio Brunetti , artista molisano a 360° , si sia imbattuto in due casse, ricolme di scatole di lastre fotografiche al bromuro d’argento e gettate tra le cianfrusaglie di due trovarobe. Rimuovendo con un fazzoletto la polvere che ricopriva il coperchio delle scatole vi era incisa la raccomandazione : “Non aprire che all’oscuro”. Appena viste queste lastre la curiosità di scoprirne la provenienze, l’autore, i personaggi, la storia divenne il “sogno” di Brunetti .Le fotografie raccontano la storia della gente del paese di Casacalenda, paese dove risiedeva appunto il fotografo Mastrosanti . Le lastre fotografiche documentano la storia di una comunità intera di uno dei paesi molisani, Casacalenda, impressa nell’arco di tempo compreso tra la fine dell’800 e il 1933. Lo stesso Brunetti commenta così la sua sensazionale scoperta : “Quelle mille e cinquecento lastre documentano un Molise ancestrale quasi primitivo e ciascuna rappresenta una condizione esistenziale che nell’insieme si fa documentazione, storia collettiva e “stoffa del sogno” delle generazioni dei nostri avi. E in quel mondo, che solo apparentemente sia passato e più non esista, la fotografia assume un potere divino, magico, sacrale, quello di ridare la vita, in una sorta di metempsicosi, alla bellezza e alla grazia.”
Di queste 1500 lastre ne sono state scelte circa 90 , restaurate dopo un certosino e lungo lavoro , ed è stata inaugurata a Campobasso nella galleria del Palazzo Gil la mostra fotografica “Non aprire che all’oscuro”, curata dallo stesso Flavio Brunetti e organizzata e promossa dalla Fondazione Molise Cultura.
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