L’ immagine della memoria: il formato “Margherita”

E’ così a volte. Ci sono foto che decidono di tornare alla luce. Ci sono foto che decidono di regalarci frammenti di vita di persone che non abbiamo mai conosciuto. E ti vengono a cercare, quelle foto , con l’intento ”birichino” di farti scoppiare il cuore. E ci riescono. Sono quelle immagini della memoria che ti portano a “scoperchiare” mondi infiniti sui quali guardare, mondi spesso semplici, ma assolutamente coinvolgenti , mondi intimi , mondi che sai ti appartengono.

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento si andava dal fotografo del paese chiedendo timidamente : “ Mi fa un ritratto? “. Eh si , perché allora i fotografi erano dei ritrattisti. Siamo nell’epoca del pittorialismo fotografico che fece la fortuna di tanti e che anche diede il via al fenomeno delle cosiddette foto ricordo.

Lo zia Teresa ( © archivio RGK )

Lo zia Teresa ( © archivio RGK )

Immagine della memoria formato retro margherita

Lo zia Teresa ( © archivio RGK )

La maggior parte di questi “fotografi ritrattisti” o “pittori fotografi” provenivano dall’arte pittorica e si affacciarono al nuovo mezzo per la facilità d’uso e da qui , presumibilmente, venne coniato il termine che il fotografo fosse un pittore mancato. Anche se in realtà la “nuova” arte fotografica era per loro un modo più redditizio della pittura.Inoltre questi fotografi erano profondi conoscitori delle pose , della tecnica e spesso intervenivano manualmente nello sviluppo e realizzazione della foto stessa con lo sfocato, ad esempio , o addirittura creando fondali scenografici di particolare effetto. Inoltre queste foto venivano presentate con delle particolari cornici di cartoncino per meglio valorizzare il ritratto e renderlo armonico e elegante.

La storia ufficiale del tempo attribuisce all’inglese Fox Talbot il procedimento negativo-positivo su carta, detto calotipia o talbotipia, che offriva la possibilità di moltiplicazione illimitata dell’immagine fotografica. Ma restava comunque un procedimento complicato. Il grande salto di qualità lo si ebbe quando Frederick Scott Archer, nel 1851, sviluppò il procedimento al collodio. Questa tecnica del negativo su vetro permetteva di riprodurre a volontà in positivo. La fotografia al collodio durerà almeno per un trentennio, e questo periodo rappresenta “l’âge d’or ” della fotografia. Nacquero i famosi “atelier” fotografici , che per noi “contemporanei digitalizzati” sono un importante patrimonio storico, artistico e culturale del nostro passato , della nostra vita.

Dunque queste foto ricordo venivano commissionate anche come cartoline postali personalizzate da spedire ai parenti lontani o da distribuire alle persone care o regalate agli amici in segno di stima.I fotografi ritrattisti ponevano particolare attenzione alla presentazione delle foto appunto con questi cartoncini , un pò come si fa adesso con i passe partout.  Vennero quindi determinati degli standard di misurazione dei cartoncini in base al tipo di lastra fotografica usata , standard che vennero decisi al Congresso Internazionale di fotografia che si tenne in occasione della esposizione Universale di Parigi nel 1889.

A secondo dei formati e misure in mm. i cartoncini avevano vari nomi. Dal famoso formato “Gabinetto” , cioè quello realizzato e usato per pose nello studio del fotografo , al formato “Visita” così chiamato in quanto veniva impiegato come biglietto da visita , al formato “Margherita” il più commercializzato in Italia cosi chiamato in contrapposizione al formato Victoria (dal nome della regina inglese), al formato Nature, usato per il ritratto a mezzo busto che venne chiamato anche Life-Size perché il soggetto era rappresentato in grandezza naturale cioè in scala  1:1.  La stampa fotografica veniva incollata, usando in genere presse a caldo sui cartoncini di vario formato. Questi cartoncini venivano poi ritagliati con delle speciali taglierine (le cosiddette trimmer ) su delle sagome rigide di cui seguire il contorno e sul retro veniva apposto un timbro recante il nome dello studio o del fotografo.

Immagine della memoria formato cartoncini

Formato dei cartoncini in mm

La “photo carte de visite” o “formato visita” merita un accenno importante. Inventata dal fotografo francese André Adolphe Eugène Disdéri , anche lui come altri fotografi delle origini, giunse alla “nuova arte” della Fotografia mentre studiava Pittura. Nel suo atelier brevetta un nuovo procedimento per la “carte de visite” o “formato visita”: una macchina fotografica con quattro obiettivi (successivamente otto o dodici) che impressiona contemporaneamente, sulla stessa lastra, altrettanti ritratti di dimensioni ridotte, 5,5 cm x 8,5 circa. E il primo formato standard dell’immagine fotografica. Il lavoro conveniva economicamente e non richiedeva una particolare perizia: la produzione del fotografo e dello stampatore veniva così moltiplicata per otto, entrò addirittura in concorrenza persino col celebre Nadar.  Disdéri inventò persino un suo schema fotografico specifico per le immagini d’atelier : le persone venivano riprese a figura intera contro sfondi e scenografie che dovevano in qualche modo gratificare i soggetti in posa. E dunque, la presenza di mobili e soprammobili di alta qualità consentiva al cliente di assumere un ruolo sociale di prestigio, non sempre corrispondente alla realtà.

Lo zio Sareddu ( © archivio RGK )

Lo zio Sareddu ( © archivio RGK )

Lo zio Sareddu ( © archivio RGK )

Lo zio Sareddu ( © archivio RGK )

In un certo qual senso , oltre all’utilizzo dell’epoca ,  queste “photo carte de visite” o “formato visita” hanno reso perpetuo il rapporto tra l’uomo e l’immagine. Piccole storie di vita vissuta che insieme alla ricerca e alla passione rendono immortale la fotografia stessa. Già “l’immagine della memoria” , al punto che dopo oltre un secolo dalla loro invenzione, siamo ancora qui a parlarne .

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