TRAPANI – 27-28 OTTOBRE 2021
È affacciandoti dalla terrazza della Torre di Ligny, situata su una lingua di terra nella zona estrema di Trapani, che ti accorgi come il Tirreno diventa Mediterraneo. Depranon, la città che divide i due mari, ne è interamente abbracciata; quel mare segue e accompagna come un’ombra i tuoi passi inebriandoti con il suo intenso profumo. Un profumo che è anche una immagine da cui percepisci un insieme di sensazioni vissute e che stordiscono i sensi. Un odore, quello dell’acqua, a tratti familiare che riporta a galla ricordi e volti che ti appartengono, che sanno di storie vissute e velate di accecante malinconia. Gaspare e Concetta i miei nonni materni, in questa città, che forse appare ingiustamente sacrificata negli itinerari turistici, ci sono nati. E mi piace pensare che certi cerchi, che a volte sembrano volersi chiudere, all’improvviso si dipanano in una linea che va dritto al cuore e che ti trascina con quel forte senso di appartenenza ad una terra che non puoi non amare. Terra e famiglia sono quel balsamo potente che sorregge il pilastro della nostra esistenza, dove cercare certe tracce non può fare altro che accelerare i ritmi di una assordante nostalgia per quello che è stato e che adesso non c’è più: vecchie fotografie ingiallite dal tempo che i tuoi occhi rendono ancora vive.
La nostra “classica” levataccia, per affrontare gli oltre 350 chilometri di una “creatura mitologica” perennemente inquietante e infida a cui viene voglia di dare il nome di “Via Crucis Siciliana”, inizia alle 5:00 del mattino. Il Mostro, o la Bestia che dir si voglia, si ciba voracemente e con l’ingordigia del famelico di deviazioni, interruzioni, restringimenti, buche ed asfalto sconnesso e ti crea una forte dipendenza legata allo stress da volante ovvero quella sindrome stendhaliana che rasenta la perfezione artistica e lo sperdimento psichico pronunciando irriverenti giaculatorie. La Bestia, o il Mostro che dir si voglia, sia che si chiami Anas o Cas poco importa, è, senza alcun dubbio, vanto e orgoglio di una classe politica incapace di non aver saputo dare, in decenni e decenni, risposte concrete ai problemi e alle esigenze reali di questa terra: falliti! Buoni solamente a saper creare “avvallamenti” all’interno di quelle poltrone dalla morbida seduta vellutata, … e cosi sia.
La nostra “Via Crucis” si conclude alla vista di Trapani, ad attenderci c’è Patrizia, fotografa che lascia tracce, e Carlo, che le tracce le racconta. Insieme a loro andiamo a visitare le Saline di Nubia. Per chi delle Saline ha un’idea alquanto sommaria, soltanto recandosi sul posto si renderà conto di quanto questi luoghi sono capaci di trascinarti in un’atmosfera rarefatta e di squisita raffinatezza: acqua e cielo si fondono regalandoci un paesaggio inusuale. Il cielo si riflette nello specchio d’acqua creando capricciosi arabeschi. Colline di sale e mulini oramai abbandonati sono lo scenario che ci permettono di viaggiare con la nostra mente sull’antico e duro lavoro dei “salinara”, attori plurisecolari che perpetuavano, con gli stessi riti e ritmi degli antichi, insieme ad un’indicibile fatica e sudore, le roventi assolate operazioni necessarie per trarre dal mare il cristallino “oro bianco”. Storie di una Sicilia che non esiste più, storie di saline e di salinari. La nostra visita s’interrompe al pomeriggio a causa di un violento acquazzone e ci costringe a fare rientro in città. Una bella doccia calda per poi ritrovarci tutti insieme a cena a conversare di fotografia e dintorni.
La mattina seguente il sole ci sorride e ne approfittiamo per consumare la nostra colazione all’aperto. Poi ognuno seguendo il proprio pensiero s’incammina, con la propria macchina fotografica al collo, tra i vicoli del centro storico. Il mare non lo vedi ma lo senti, anzi lo cerchi, tra le piccole traverse che sono come delle scappatoie dalle vie principali, per poi ritornare e poi di nuovo tornare a rigenerarti sul lungomare dove si affacciano piccole case tutte unite, con i gabbiani in volo che sembrano proteggerle. Quegli stessi gabbiani che al mercato del pesce, incuranti delle urla dei pescatori, imponenti atterrano sul molo del porto in cerca di cibo. Pescatori che espongono sulla poppa delle loro barche il pescato frutto della loro lunga giornata. Riprendi nuovamente l’itinerario del centro storico per perderti tra le chiese della città, alcune le troviamo aperte e custodiscono tesori unici che hanno il respiro della nostra storia. Bastioni, cupole, mura, è un susseguirsi di monumenti, palazzi, fontane e piazze che ostentano la loro pacata bellezza. La semplicità di Trapani si trova tutta nel suo stile armonioso e dal fascino antico, sono le testimonianze che risalgono alle diverse dominazioni susseguitesi nel corso dei secoli; c’è un fare lento ma operoso, spontaneo direi e meno artificioso. Ci sono i profumi del cumino e del couscous, i volti, la gestualità e il dialetto della gente, una Sicilia diversa ma non per questo meno autentica, una di quelle cento Sicilie tanto decantate da Gesualdo Bufalino: “Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto d’isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui tutto è mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante, non finirò di contarle. Vi è la Sicilia verde del carrubbo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava. Vi è una Sicilia “babba”, cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta”, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio”.
Un abbraccio
Rogika